Suor Teresa Tambelli, la vincenziana mamma dei “piciocus de crobi” della Marina

Anche Cagliari può vantare, e a buon diritto, la “sua” Madre Teresa.
Non la fondatrice delle “Missionarie della Carità” dall’inconfondibile sari bianco orlato di celeste, fattasi santa negli slums di Calcutta, in quelle baraccopoli degne di un girone infernale, ma una minuta suora vincenziana che ha calcato, per oltre mezzo secolo, le polverose strade del quartiere della Marina, andando a bussare nei sottani, malsani e puzzolenti, per soccorrere e consolare i poveri di Cagliari del primo e secondo dopoguerra.

La vocazione
Nata in provincia di Mantova, nel 1884, Olga Tambelli a 13 anni resta orfana di entrambi i genitori. Viene mandata a Parma a proseguire gli studi, in collegio. Con ottimo profitto conseguirà il diploma magistrale riportando una votazione fra il 9 e il 10. Ulma, una delle sue sorelle maggiori, testimonierà: «Notata per la sua bontà eccezionale, l’intelligenza e l’applicazione allo studio, fu amata da tutti». Diventata maggiorenne chiede di entrare fra le Figlie della Carità di Torino.

L’arrivo a Cagliari
Emessi i voti e diventata “suor Teresa”, viene destinata all’Asilo della Marina, istituzione fondata nel 1860. Arriva a Cagliari il 14 settembre 1907: vi rimarrà, pressoché ininterrottamente, per 57 anni, fino al 1964, anno della sua morte. Allo scoppio della Grande Guerra, a dirigere l’Asilo è nominata suor Giuseppina Nicoli: l’incontro con la nuova “suor servente” (così le Figlie della Carità chiamano la propria Superiora, “colei che serve”) si dimostrerà determinante per la giovane suor Tambelli. In un rapporto di spirituale simbiosi, trovano reciproca comprensione e appoggio e una corrispondenza perfetta alle loro aspirazioni di zelo e di perfezione. 

Le sue iniziative
Nel 1925 sarà proprio suor Tambelli a succedere a suor Nicoli come nuova “suor servente” della Casa. Ne prosegue l’opera con finezza di tratto, infaticabile generosità, grande passione e abnegazione. Adegua alle nuove norme le scuole, l’asilo, i laboratori; nel 1941, apre la Scuola Media parificata e le Magistrali, legalmente riconosciute, intitolandole a suor Nicoli. Nell’inverno del 1943, quando Cagliari, a causa dei bombardamenti, è nel caos più totale suor Teresa apre l’Asilo della Marina per dare ospitalità e sostegno agli sfollati. Via Baylle diventa l’epicentro di una vasta “operazione di soccorso” per il quartiere e la città, quella “centrale della carità” riconosciuta e apprezzata da tutti i cagliaritani, anche dagli anticlericali più ostinati.

Suora delle periferie
Fu, profeticamente, la suora delle periferie cittadine, icona di quella “chiesa in uscita” così cara a papa Francesco, che non teme di avventurarsi e soccorrere i tanti feriti e moribondi di quell’immenso campo di battaglia che è la moderna e tecnologica società di oggi. Suor Teresa, assieme ad alcune coraggiose consorelle, negli anni della guerra, riuscì a portare viveri e indumenti fino al Lazzaretto di sant’Elia o nelle grotte di Palabanda e Tuvixeddu. Così come resta ancora memorabile il suo pranzo di Natale capace di mettere a tavola 1.500 persone, con tutti ancora a chiedersi come riuscisse nell’intento.

La pupilla dei suoi occhi
Ma suor Teresa fu soprattutto la mamma dei suoi “marianelli”, come amava chiamare is piciocus de crobi, pupilla dei suoi occhi, “i monelli di Maria” per i quali spese la sua vita, pioniera di una frontiera educativa e di servizio sociale per tutta la città. Questo il delicato ritratto che di lei ha fatto la consorella, suor Rita Columbano, vice postulatrice della Causa di canonizzazione:
«Quando al mattino i primi rintocchi di campana si adagiano sulla città ancora insonnolita, chiamando i fedeli alla prima Messa, s’ode nelle strade deserte del rione della Marina un battito di mani, una voce chiara e pacata che chiama: Efisio, Luigi, Antonio, … a Messa! È lei, suor Teresa, che risveglia al mattino della domenica le coscienze insonnolite al dovere di cristiani. E nell’ora ancora crepuscolare s’ode il richiamo di una mamma: “Gigi… passa suor Teresa, alzati!” Il rigirarsi di un corpo sul letto, uno sbadiglio, ma poi a Messa ci sono tutti, o quasi, e lei è contenta in cuor suo d’aver portato nella casa del Signore quelle anime giovani». 

Il tempo della prova
Anche suor Tambelli, come a suo tempo avvenne con suor Nicoli, cade vittima delle angherie anticlericali del presidente dell’Amministrazione dell’Asilo della Marina che, grazie ai suoi buon uffici con il Prefetto, riuscirà a rimuoverla da Cagliari.
La Serva di Dio «vola alto e accoglie con umiltà e serenità di spirito la decisione del Prefetto che la caccia da città. Tornata all’Asilo della Marina che, in quelle ore, brulica di poveri (infatti, quel giorno, tutto è pronto per il pranzo di Natale in loro onore), anziché ritirarsi o informare le sue consorelle dell’imminente partenza, inappuntabile come sempre, si cinge il grembiule e passa per i tavoli a servire i suoi ospiti prediletti, ad intrattenersi con loro, tutto ascoltando, incoraggiando e sorridendo». Di lì a pochi giorni lascia Cagliari: l’esilio dura nove mesi, dal 1° gennaio al 27 settembre del 1934.

Il santuario della Carità
Suor Teresa Tambelli, sepolta nel cimitero di Bonaria il 24 febbraio 1964, dopo un memorabile funerale per partecipazione e dolore collettivo che ha richiamato alla mente quello di fra Nicola da Gesturi, nel 2019 è tornata a casa sua. Ora riposa in quell’Asilo di via Baylle che già accoglie la sua “suor servente” Giuseppina Nicoli: finalmente riunite, una di fronte all’altra, hanno trasformato quella minuscola e nascosta cappellina in un “santuario” cittadino della Carità. Una già proclamata Beata, l’altra in cammino verso il titolo di Venerabile, ma entrambe gigantesche icone del servizio ai poveri, quelli che papa Francesco chiama gli “scarti” di questa società opulenta ed egoista. Il quartiere della Marina, grazie alle due religiose vincenziane, è oggi un faro luminoso di carità e servizio gratuito. Chi ha conosciuto suor Teresa Tambelli la ricorda così: un campanello in mano, un battito di mani alle prime luci dell’alba, per le vie strette della Marina, di casa in casa, a svegliare la domenica mattina i suoi “marianelli” e condurli puntuali a Messa a sant’Eulalia. (pao.mat)

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