Quel fariseo e quel pubblicano che è in ciascuno di noi

Domenica 30esima del Tempo Ordinario – anno C (27 ottobre)
Letture: Sir 35, 15-22; 2 Tm 4, 6-8.16-18; Lc 18, 9-14

Nella parabola del vangelo di questa domenica, il Signore oppone, in un modo un po’ caricaturale, l’atteggiamento di due personaggi della società del suo tempo, il fariseo e il pubblicano. Spesso, nei vangeli, ritroviamo questi due tipi di persone che corrispondono a due modi di conoscenza di sé e di relazione con Gesù. Nessuno di noi è, in modo assoluto, l’uno o l’altro, ma tutti noi siamo ogni tanto l’uno e ogni tanto l’altro. Nel cuore di ognuno di noi, c’è questa duplice realtà: da una parte, un fariseo in regola con i propri principi, sicuro di sé, che giudica gli altri, e dall’altra parte un’uomo ferito e consapevole della propria fragilità che riconosce i propri limiti.

Nella nostra esistenza, per alcune cose, siamo dei farisei, e per altre dei pubblicani. Così, abbiamo tutti l’impressione di essere psicologicamente e spiritualmente sani, e guardiamo gli altri con un certo sospetto, quando hanno una reazione diversa della nostra. Pensiamo di aver trovato il modo giusto di affrontare le sfide della vita, e giudichiamo severamente le debolezze e le mancanze degli altri. O ancora, quando siamo consapevoli dei nostri limiti e delle nostre fragilità, ne facciamo una misura e una regola che dovrebbe essere valida per tutti: ciò che non sopporto è impossibile o inutile. Tutto diventa occasione di pretesa. La caratteristica del fariseo è che parte da sé, dai suoi bisogni, dai suoi desideri. Fa di sé il criterio unico di ogni realtà. Ciò che può fare e sopportare, tutti dovrebbero farlo. Ciò che stima impossibile non è normale né necessario. Il fariseo è dunque la persona che prende se stesso come misura e regola per tutta la realtà.

Invece, l’atteggiamento del pubblicano del vangelo parte da un altro punto di vista. Il centro della realtà, la misura di ogni cosa non è più dentro di sé, ma nell’altro. Egli sa che non corrisponde a ciò che si aspetta di lui. Non cerca di giustificare le sue fragilità e le sue povertà, anche se le riconosce e le accetta. Il pubblicano prende la misura della propria inadeguatezza, della propria povertà, ma senza farne una norma. Non riduce Dio all’immagine che ne ha. Non riduce l’altro al proprio bisogno, alle proprie attese.

In questa parabola, non sono tanti due uomini, ma sono piuttosto infatti due modi di essere che Gesù sta opponendo. Il problema non esiste solo nel campo religioso. Vale per tutti noi, e per tutti i momenti della vita. Difatti, troviamo sempre normale ciò che a noi conviene, e eccessivo ciò che non siamo capaci o pronti a fare. In tante situazioni, ci mettiamo al centro della realtà, di ogni cosa, e per questo, non siamo più in grado di distinguere tra il valore di ciò che ci è chiesto e la nostra disponibilità a compierlo.

Il problema del fariseo è che è tanto convinto di aver ragione che non si interroga più su ciò che sta succedendo nella sua vita, fin quando succede qualcosa che farà crollare tutto il suo universo. Gesù non condanna il fariseo, ma cerca piuttosto di avvertirlo, di aiutarlo a aprire la sua mente a ciò che non è lui, a ciò che non è il suo piccolo mondo. Per Gesù, il dramma dell’uomo è di non aprire gli occhi, di non guardare aldilà di sé, di rimanere prigioniero di se stesso, come il fariseo!

Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena (Pisa)
(www.valserena.it)

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