Vedere Dio nel più povero e nel più piccolo dei nostri fratelli

5 DOMENICA DI PASQUA – Anno A – 7 maggio 2023
Letture: At 6, 1-7; 1 P 2, 4-9; Gv 14, 1-12

         Alla domanda di Tommaso: “Signore mostraci il Padre, e questo ci basta”, il Signore risponde: “Colui che mi vede, vede il Padre”! Il desiderio di vedere Dio è un desiderio che attraversa tutta la storia dell’antico e del nuovo testamento. Si potrebbe dire che la storia della salvezza è solo l’espressione di questo desiderio di vedere Dio. E questo desiderio ci riporta agli inizi della Bibbia, cioè al libro della Genesi, quando l’uomo e la donna potevano vedere Dio che passeggiava nel giardino di Eden. E la Bibbia ci insegna che, dopo il primo peccato, l’uomo e la donna si sono nascosti per non essere visti da Dio, e così hanno perso la visione di Dio.

          Per i Padri della Chiesa, la visione di Dio è sinonimo della vita eterna. Vedere Dio significa entrare in contatto con l’unica e vera fonte della vita. Per questo, la domanda dell’apostolo Tommaso corrisponde a questo desiderio molto profondo di tutti noi di vivere in eterno. Vedere Dio significa vivere in eterno! Per questo motivo, la risposta di Gesù è molto importante per noi. Egli ci lascia capire che, per vedere il Padre, cioè la fonte della vita, basta guardare il Figlio, cioè il Signore stesso. L’amore tra il Padre e il Figlio è così grande, così profondo, che quando si vede l’uno, si conosce l’altro. Il Figlio è nel Padre, e il Padre è presente nel Figlio.

          Si capisce che, a questo punto, vedere e vivere sono sinonimi. Questi due verbi esprimono un’esperienza molto particolare e molto profonda. Vedere non è più solo un modo di partecipare da fuori a una realtà esterna, come un estraneo, ma è proprio entrare in questa realtà. Lo sguardo va molto aldilà della semplice esperienza distratta e superficiale che spesso facciamo, ma coinvolge tutto l’essere che viene trasformato da ciò che è visto. Vedere significa entrare in comunione con ciò che si vede, aldilà delle differenze e dei nostri limiti umani.

          Però, nel vangelo di oggi, il Signore aggiunge un’altra dimensione a questa esperienza della visione. Gesù deve tornare verso il Padre. Per il momento, non si lascia più vedere da vicino, come faceva per i suoi discepoli. Tornerà in questo mondo, alla fine dei tempi, ma, per il momento, è tornato presso il Padre. Dobbiamo fare l’esperienza della sua assenza. Non è sempre facile capire perché Gesù risveglia il nostro desiderio di vedere Dio, e poi subito si nasconde e ci lascia da soli. Difatti, viviamo ormai nel tempo dell’attesa del suo ritorno, della sua manifestazione. Però questo non significa che Gesù sia assente!

          Difatti, se il Signore non si manifesta come ai suoi discepoli, Egli è sempre presente in mezzo a noi. Egli vuole che noi impariamo a riconoscerlo nel più povero e nel più piccolo dei nostri fratelli. Perché il vero problema, non è la sua assenza, ma piuttosto la nostra incapacità di riconoscerlo e di vedere i segni della sua presenza. Spesso, lo cerchiamo dove non si trova, e non riconosciamo le tracce della sua presenza nella brezza leggera e nell’umiltà silenziosa dei nostri fratelli. Aspettiamo segni meravigliosi e prodigi, ma non vediamo la bellezza della sua presenza nelle più piccole cose della vita. Il Signore desidera che impariamo di nuovo a vedere, vuole aprire i nostri occhi alle sue meraviglie, alla sua grazia nella nostra vita.

Dom Guillaume
cappellano monastero cistercense “N.S. di Valserena” (Pisa)

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