Solo davanti a quel portone immenso, massiccio, incombente. Per alcuni lunghi istanti, addirittura troppo pesante per le modeste forze di Francesco. Tanto leggera era sembrata la porta di Bangui, così pesante quella di San Pietro.
Francesco ha dovuto più volte spingere con forza prima che quei cardini cedessero e la maestosa Porta santa finalmente si spalancasse. Come se su quel bronzo si fossero accumulati e via via incrostati i mali della Chiesa, “potere, carriere, sporcizie” già denunciati da Benedetto XVI in quell’ultima via crucis di San Giovanni Paolo II.
E ci sono voluti due Papi, ancorché uno fisicamente affievolito, per forzare quel portone e permettere allo Spirito di irrompere in questa rinnovata Pentecoste della Chiesa, lo Spirito del Vaticano II che fece proclamare a San Giovanni XXIII, alla sua apertura, che la Chiesa sceglieva la medicina della misericordia e non più le armi del giudizio.
Attraverso quella Porta, replicata in ogni cattedrale diocesana, avviene in entrata la purificazione, la rinascita, la rinnovazione delle scelte battesimali che confermano il popolo di Dio nella triplice investitura sacerdotale, regale e profetica. Da quella Porta, attraversata in uscita, riparte una Chiesa missionaria, inviata alle genti, alle periferie dell’uomo, una Chiesa misericordiosa.
«La Chiesa ha bisogno di questo momento straordinario di Grazia», ha ripetuto con forza Papa Francesco alla prima udienza pubblica dopo l’apertura dell’Anno Santo. «Occorre puntare l’attenzione al centro del Vangelo, la persona di Gesù, volto e carne della Misericordia del Padre». E allora la Chiesa, ha concluso il Papa, «impari a scegliere ciò che piace di più a Dio: perdonare, avere misericordia».