Il rischio di avere l’esclusiva del marchio “Gesù”

Domenica 26ma Tempo Ordinario – Anno B (26 settembre 2021)
LettureNm 11,25-29; Gc 5,1-6; Mc 9,38-48

In questo brano del vangelo di Marco, il Signore Gesù sviluppa due argomenti molto importanti per il nostro tempo, perché toccano tutti e due il concetto di proprietà. Difatti, i discepoli reagiscono contro questa persona, che cacciava i demoni nel nome di Gesù, perché avevano l’impressione che erano solo loro che potevano usare questo nome.
Si sentivano proprietari della marca “Gesù”!

Volevano l’esclusiva, come il piccolo Giosuè, nella prima lettura, che pensava che lo Spirito Santo era proprietà del suo maestro Mosè. La risposta di Mosè, come quella di Gesù, non solo sottolinea la gratuità del nome di Dio, ma anche la sua libertà. Nessuno può impadronirsi del nome di Dio e trattarlo come proprietà privata. E questo vale non solo per Dio, ma anche per la sua creazione. Lo ricordava Giacomo nella seconda lettura. I beni della terra non sono fatti per essere tesaurizzati a accaparrati, ma per essere messi al servizio di tutti.

Possedere beni, ma anche doni e capacità è prima di tutto una missione, un servizio al bene comune. Le ricchezze possono essere molto diverse: materiali, culturali, intellettuali, artistiche. Sono un dono di Dio. Ma il problema è cosa facciamo di queste ricchezze. Le facciamo fruttificare per il bene comune o le conserviamo per noi, trasformandole così in occasione di scandalo? Ognuno di noi ha ricevuto un dono, una capacità, una ricchezza. Cosa ne facciamo? A quale scopo l’usiamo? Appropriarsi e usare esclusivamente per se stesso un dono spirituale o materiale, nei due casi, il problema rimane lo stesso: è un modo di rubare il dono a noi concesso per il bene di tutti, e così renderlo sterile.

Il nostro dono è la nostra vera vocazione, e ciò che abbiamo ricevuto, il Signore ci chiede di farlo fruttificare per il bene della società, per il progresso e la bellezza del nostro mondo. Basta guardare intorno a noi per capire questo. Mangiamo la frutta di alberi che non abbiamo piantati, camminiamo sulle vie tracciate da altri secoli fa, preghiamo in monumenti che i nostri antenati hanno costruiti. La bellezza delle nostre città, dei paesaggi in cui viviamo, sono l’eredità di tanti uomini sconosciuti che hanno lavorato anche per noi. E ne siamo umilmente fieri.

E questo vale anche per la nostra fede. Attraverso i secoli, il vangelo ha pian piano trasformato la durezza e l’insensibilità dei nostri cuori, soprattutto nei grandi santi che ci hanno insegnato a guardare in un altro modo il povero e lo straniero. Questo tesoro di umanità è certo fragile, ma lo dobbiamo a tante generazioni che hanno lottato per la dignità di ogni essere umano. Ancora oggi, siamo chiamati a arricchire questo tesoro della civiltà cristiana, questa civiltà dell’amore, in un mondo che vorrebbe invece tornare indietro, nella schiavitù della morte e del peccato, nella schiavitù della superstizione e dell’odio. Ogni volta che scegliamo la bontà e la gratitudine, facciamo crescere questo nostro tesoro comune. Perché una civiltà non è solo un cumulo di opere d’arte e di tecnologie, ma è soprattutto questa capacità di trasformare la parte più oscura del cuore umano alla luce del nome di Gesù; è questa capacità di liberare il dono di Dio in ogni persona, per il bene di tutti.

Dom Guillaume, cappellano monastero trappista N.S. di Valserena (Pisa)
www.valserena.it

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