Mercoledì delle ceneri: è Quaresima fra guerre moderne e l’apocalisse turco-siriana

L’austero segno delle ceneri apre oggi il “tempo forte” della Quaresima, i quaranta giorni che, per i cristiani, scandiscono il periodo di preparazione immediata alla solennità della Pasqua.

Simbolo, questo delle ceneri, dal duplice significato. Uno legato alla precarietà della vita («ricordati che polvere sei e in polvere tornerai»), l’altro a una prospettiva di speranza («convertiti e credi al Vangelo»): sono queste le due frasi che il sacerdote, imponendo la cenere quaresimale, ripete e ricorda al fedele penitente.

Forse, mai come oggi, questo simbolo riesce a incarnarsi nella storia dell’uomo all’esordio di questa Quaresima 2023.

A spargersi sul capo dell’umanità intera sono infatti le ceneri dei 41 mila (ma c’è chi dice siano il doppio, addirittura forse il triplo) rimasti sotto le macerie dell’ecatombe che cancellato intere regioni di Turchia e Siria.

Le ceneri di quanti sono morti all’istante, travolti e sepolti sotto palazzi o modeste abitazioni, sbriciolati dalla devastante potenza del sisma. Ma sono anche le ceneri di chi è morto dopo una lunga, infinita attesa di un soccorso, sfinito e sfibrato dal freddo e dall’angoscia.

Ma ad aprire questa Quaresima sono anche le ceneri delle decine di migliaia di vittime di una guerra, insensata e irreale, che si combatte in uno scenario geograficamente vicino, quello fra Russia e Ucraina, che – fra trincee e battaglie sul campo – rimanda a conflitti che avevamo confinato, almeno noi europei, a epoche passate che, pensavamo, mai si sarebbero riproposte. A nulla, per ora, sono valsi – contemporanea e solitaria “voce che grida nel deserto” – gli oltre cento appelli alla pace, alla tregua, alla sospensione delle operazioni militari lanciati da Papa Francesco a ogni occasione, pubblica o liturgica.

Ma sono anche, restringendo lo zoom alla nostra realtà particolare, le ceneri dei morti sotto le bombe di quel “corto e maledetto” febbraio ’43. Nel rivedere le immagini di quelle incursioni aeree, che letteralmente oscurarono l’azzurro cielo della Sardegna meridionale, si resta colpiti dal manto di “cenere” che ricoprì quella che era la città capoluogo.

Il granito e il tufo delle abitazioni, ridotti in finissima polvere di morte, avvolgeva ogni cosa, strade e abitazioni, ma anche abiti e volti di «fantasmi che spuntavano da cumuli di macerie e di distruzione», come ebbe a scrivere Francesco Alziator.

Sono trascorsi appena ottant’anni da una tragedia che, da “giorno della memoria”, è ormai pagina di “storia”, non solo cittadina ma di tutta la Sardegna. In quel febbraio saranno tre le micidiali incursioni su una popolazione inerme e, forse, non del tutto conscia della tragedia che si stava abbattendo. Arriverà poi l’atto finale, il 13 maggio. Due settimane prima Sant’Efisio, “Efis mortu” come subito venne battezzato, era riuscito ad arrivare a Nora per sciogliere, anche in quello scenario di morte e distruzione, l’antico voto.

Ma, nella memoria dei cagliaritani, resterà impresso per sempre quel 17 febbraio, il giorno dello spezzonamento, il giorno dell’eccidio davanti alla Cripta di Santa Restituta, rifugio sbarrato per la disperazione di chi vi cercava riparo.

Era un mercoledì, quel 17 febbraio.

Un drammatico, indelebile, “mercoledì” delle ceneri.

Paolo Matta

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