SARAJEVO, PAPA FRANCESCO PROVA A COSTRUIRE PONTI IN UNA CITTÀ DIVISA


Francesco troverà un Paese e una capitale ancora fortemente segnati dalle conseguenze della guerra. L’esasperante tripartizione etnico-religiosa, la crisi economica e il diffondersi del fondamentalismo fra i nodi critici; ma sono ancora aperte le strade di una possibile collaborazione fra cattolici, ortodossi e musulmani. Diffuso un video: «Vengo tra voi per incoraggiare la convivenza»

FRANCESCO PELOSO
CITTÀ DEL VATICANO

Una città divisa, un Paese diviso. E’ questa la realtà che si troverà di fronte Papa Francesco quando sabato prossimo visiterà Sarajevo, capitale della Bosnia Herzegovina. La guerra che sconvolse l’ex Jugoslavia all’inizio degli anni ’90 conclusasi con gli accordi di Dayton del 1995, ha lasciato ferite profonde; la società è profondamente spaccata al suo interno su base etnico-religiosa mentre la crisi economica e la disoccupazione producono frustrazione e malessere nelle nuove generazioni. In questo contesto, tuttavia, non mancano i tentativi di riannodare un dialogo fra gruppi diversi che appartengono però a una stessa terra. I cattolici sono oggi circa 430mila, almeno secondo le stime fatte dalla Chiesa locale in base a informazioni raccolte nelle varie parrocchie e comunità del Paese. Una cifra che costituisce “circa la metà della popolazione cattolica presente in Bosnia prima della guerra” secondo quanto afferma monsignor Tomo Vuksic, ordinario militare.
Nel marzo scorso i vescovi della Bosnia si sono recati in visita ad limina da papa Francesco, nell’occasione, monsignor Vuksic in merito alla situazione nelle quale si trova il Paese e soprattutto alle ripercussioni sociali del conflitto, affermava: «Le conseguenze della guerra sono ancora molto vive. Prima di tutto, perché c’è molta gente che ha perso i figli, i mariti, i familiari, che ha vissuto l’esperienza della distruzione dei beni costruiti in una vita. Cioè, ci sono le conseguenze e perciò molte sono le ferite da curare». «Ma grazie a Dio – aggiungeva – molti si impegnano a farlo e noi della Chiesa ci sentiamo tanto più obbligati a soccorrere la gente, a essere vicini, soprattutto nel processo di riconciliazione, del perdono, nel senso spirituale della costruzione dell’armonia sociale, perché questi sono i presupposti di uno sviluppo di qualsiasi tipo, per un futuro più felice».
Sarajevo, come tutta la Bosnia, è oggi una città attraversata da divisioni e confini invisibili costruiti su base etnico-religiosa, le tre comunità riconosciute che compongono il Paese – cattolici, ortodossi, musulmani – vivono quasi in mondi separati, per quanto esistano tentativi di riannodare i fili di una convivenza possibile. Circa un anno fa il Paese è stato inoltre scosso da dimostrazioni di protesta contro la corruzione, nel frattempo, fra 2013 e 1014, è stato condotto un censimento i cui risultati tuttavia non sono ancora stati pubblicati in quanto potrebbero mettere in discussione una tripartizione etnica stabilita a tavolino con la pace di Dayton che non corrisponde però realmente alla composizione sociale ed etnica del Paese.
In Bosnia, infatti, vivono fra l’altro circa 100mila rom su 4 milioni di abitanti che non hanno alcuna rappresentanza politica eppure sono parte integrante del Paese, anzi la loro presenza sul territorio ha tradizioni antiche. Allo stesso tempo, in base a sondaggi pilota condotti fra la popolazione, è risultato che più o meno il 35% delle persone si siano definite o dichiarate essere “altro” rispetto ai tre gruppi prevalenti, cioè croati, serbi e musulmani. La Bosnia uscita dalla guerra, infatti, è risultata divisa in due entità: la Federazione croato-musulmana e la Repubblica serba, ed è in base a questa doppia composizione (all’interno della quale è ben visibile una tripartizione etnica) che vengono eletti i rappresentanti in Parlamento mentre la presidenza viene esercitata a turno e a rotazione da un croato, un musulmano e un serbo. Quanti non rientrano o non fanno parte dei “popoli costitutivi” del Paese sono esclusi dalla vita pubblica e politica.
Da sottolineare poi che il Papa arriverà a Sarajevo poche settimane prima che ricorra il 20esimo anniversario della strage di Srebrenica. L’11 luglio del 1995, poco prima della fine del conflitto, nella località posta sotto assedio dalle milizie serbe, furono uccisi e sottoposti a inaudite violenze almeno 8mila musulmani di Bosnia i cui corpi vennero poi sepolti in innumerevoli fosse comuni sparse per la regione. Il Tribunale penale internazionale con sentenze successive ha classificato gli eventi di Srebrenica come genocidio. La guerra dell’ex Jugoslavia, del resto, costituisce un momento centrale negli eventi che si sono sviluppati nei decenni successivi a livello internazionale. In quella circostanza, infatti, molti militanti islamici, i cosiddetti mujahidin, provenienti dalla Cecenia, dall’Afghanistam dall’Arabia Saudita e da altri Paesi, accorsero a combattere in difesa dei musulmani di Bosnia. Si diffuse, a partire da quella crisi, il problema del fondamentalismo islamico vissuto come rivendicazione contro un’aggressione cristiana alla popolazione civile bosniaca. Da allora nel Paese si è diffusa l’ideologia wahabita, l’islamismo più tradizionalista e fondamentalista, che però ha poco a che fare con la tradizione musulmana della Bosnia. E tuttavia in questo periodo un flusso di combattenti parte dalla Bosnia e percorre la strada in senso inverso: parte cioè per andare a combattere in Siria e in Iraq; molti giovani, anche a causa di una crisi economica sempre più pesante, trovano nell’estremismo religioso una risposta all’assenza di prospettive di vita.
I temi del dialogo interculturale e interreligioso, del dialogo ecumenico fra diverse confessioni cristiane, di una testimonianza evangelica che affronta questi due nodi, saranno dunque fra i punti qualificanti della visita di papa Francesco a Sarajevo. «Signore – si legge nella preghiera universale o dei fedeli per la messa che il papa celebrerà nella capitale della Bosnia – effondi il tuo Spirito su tutti i responsabili delle nazioni e, in particolare su quelli del nostro Paese, e ogni persona e ogni popolo possa godere della pace, della giustizia e della libertà; noi ti preghiamo». Questo il messaggio di pace che porterà Bergoglio.
Infine in un video messaggio dedicato alla prossima visita in Bosnia-Herzegovina e diffuso oggi, papa Francesco afferma: «Vengo tra voi, con l’aiuto di Dio, per confermare nella fede i fedeli cattolici, per sostenere il dialogo ecumenico e interreligioso, e soprattutto per incoraggiare la convivenza pacifica nel vostro Paese. Vi invito ad unirvi alle mie preghiere, affinché questo viaggio apostolico possa produrre i frutti sperati per la Comunità cristiana e per l’intera società». «Da parte mia, mi preparo a venire tra di voi come un fratello messaggero di pace, per esprimere a tutti – a tutti! – la mia stima e la mia amicizia. Vorrei annunciare ad ogni persona, ad ogni famiglia, ad ogni comunità la misericordia, la tenerezza e l’amore di Dio».

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