Matteo Boe: il vangelo in un francobollo, silenzio e l’audacia di sapersi perdonare

Il capo chino, un basco a coprire i capelli ormai quasi tutti bianchi, come la lunga barba. A punta. Da  monaco.
Il volto, con i suoi tratti, duri e spigolosi, appena si intravede dietro il vetro del finestrino di un’auto. Alla guida una donna.
Impossibile tentare di carpirne sensazioni, sentimenti, reazioni alla ritrovata libertà dopo 25 anni trascorsi in carcere, spesso in isolamento totale.
Silenzio impenetrabile e nascondimento assoluto. Anche nella sua Lula, che ha accolto il suo ritorno con uguale, ricambiato silenzio.
Matteo Boe, per i più, è semplicemente l’ex latitante, che ha scontato tre condanne per altrettanti rapimenti: quelli del piccolo Farouk Kassam, di Sara Nicoli e di Giulio De Angelis.
Poi lo ritroviamo fra gli ospiti del carcere milanese di Opera che hanno dato vita a una collezione intitolata “Vangelo filatelico“: una serie di disegni realizzati dai detenuti della sezione Alta sicurezza di Opera (di cui Boe fa appunto parte) e donati a Papa Francesco. Era stato proprio Bergoglio a volere fortemente – nell’ambito del Giubileo dei carcerati – questa mostra di disegni.
Diventati poi francobolli per Poste Italiane.


Quello di Boe raffigura un muretto a secco delle nostre campagne, dove poggiano una falce, una zappa e un ramo di fico d’India, con un uccello piumato che vi si è appoggiato pronto a spiccare il volo.
Immediati gli accostamenti alla parabola del buon seminatore e agli «uccelli dei cielo che non mietono e non raccolgono», immagine della libertà del cristiano che si affida alla Provvidenza del Padre buono «che non fa mancare nulla a coloro che ama».
Una scena nella quale domina il silenzio.
Erline Kagge è un norvegese di 54 anni, primo uomo a raggiungere i «tre poli»: il Polo Nord, il Polo Sud e l’Everest. Fondatore di una casa editrice, ha scritto un libro (tradotto e venduto in 20 paesi) titolato semplicemente Il silenzio.
«Il silenzio arricchisce di suo», scrive. «Possiede questa qualità intrinseca, esclusiva e preziosissima. È una chiave che ci consente di accedere a nuovi modi di pensare. Per me, il silenzio non è abbandono, non è qualcosa di spirituale, ma uno strumento pratico per arricchire la vita».
Ho pensato molto al silenzio di Matteo Boe, ai lunghi anni di prigionia dove – ho letto in qualche articolo – si è avvicina alle Sacre Scritture. Immagino: Giobbe, i Salmi di Davide, il vangelo di Giovanni.
Un gesuita napoletano, Gaetano Piccolo, che mi piace definire – evangelicamente – furbo, è l’autore di Leggersi dentro: scandagliando il vangelo di Matteo (pubblicano, odiato perché faceva la cresta sulle odiate tasse romane, poi apostolo ed evangelista), ha scritto una sorta di Manuale di spiritualità quotidiana, con quella freschezza di linguaggio, spontaneità e santa irriverenza che solo i napoletani geneticamente possiedono.
Quando parla di perdono, sono tornato alla foto di Boe, a capo chino, che si nasconde alla vista degli altri mentre esce dal carcere e si avvia sulla strada del ritorno. Ancora il Vangelo, ancora il figlio prodigo (o il Padre misericordioso?) quando scrive: «…perdonare è una parola piuttosto recente perché nel mondo antico si usava semplicemente donarecondonare. È in una favola di Esopo che acquista il significato di per-donare, «dare la vita», assolvere qualcuno dalla pena capitale, restituire la vita a colui al quale dovrebbe essere giustamente tolta. Molti credenti si propongono di perdonare perché si deve: mi sento a posto perché ho compiuto la legge. Gesù fa notare che il perdono non può essere ridotto a formale adesione alla legge ma è un decidersi per la vita, una vita che non è mai solo mia ma che riguarda sempre anche gli altri. Per questo il perdono è esercizio che dilata il cuore».
Silenzio e perdono: valori immensi ma che possono stare anche dentro un piccolo francobollo.

Paolo Matta

 

 

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