Don Sciortino: «I Cattolici devono testimoniare la bellezza della famiglia»

Difende i valori della famiglia e non ha paura di attaccare la politica quando non se ne interessa. Don Antonio Sciortino, direttore dal 1999 del settimanale paolino Famiglia Cristiana, se serve sa andare anche controcorrente, sempre nel rispetto della dottrina sociale della chiesa: «Anche la Chiesa deve mettere la famiglia al centro della propria pastorale».

A Cagliari invitato dall’UCSI, dalle Paoline e dall’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali a commentare il messaggio del Papa che ha come tema centrale la famiglia, prima dell’incontro non si sottrae dal rispondere ad alcune sollecitazioni: «i cattolici devono testimoniare la bellezza della famiglia così tanto maltrattata e messa in disparte dalla politica e dall’interesse generale».

Le famiglie da sempre trovano negli ambienti parrocchiali luoghi dove riporre fiducia, possono gli ultimi scandali che attraversano la chiesa fare venire meno queste certezze?
Ci vuole molta responsabilità nella formazione del clero; c’è stato un periodo in cui sembrava che tutti i preti fossero pedofili, non si può generalizzare, i casi vanno perseguiti identificati e isolati. Ma soprattutto la chiesa è tutt’altro che qualche singolo caso, ha delle realtà straordinarie di sacerdoti che si dedicano anima e corpo per cui le famiglie non devono perdere fiducia nelle parrocchie e nell’istituzione chiesa. Se si facesse una statistica, la pedofilia nella chiesa risulterebbe una percentuale davvero insignificante rispetto alla quantità. Certo ogni singolo caso è di una gravità assoluta per il ruolo e la responsabilità che un sacerdote assume ma non dimentichiamo che guardando i dati la pedofilia esiste anche nelle famiglie perché esiste il singolo caso che riguarda il sacerdote. La stampa non deve farne un uso strumentale enfatizzando a dismisura, tutto va collocato nel contesto giusto.

Di fronte alle recenti emergenze profughi la chiesa sta supplendo a carenze istituzionali?
La Chiesa si pone nello stile dell’accoglienza ovunque si trova ad operare, l’ha fatto a Lampedusa ed Agrigento e lo sta facendo in Sardegna. Il problema non riguarda solo la chiesa ma riguarda tutti, non solo le regioni del sud ma tutta l’Italia e soprattutto l’Europa tutta, perché il problema dell’immigrazione è un problema vasto; il Papa nel suo viaggio a Lampedusa ha denunciato la globalizzazione dell’indifferenza. Lampedusa è ultima propaggine d’Italia ma anche confine dell’Unione Europea, di fronte a questi grandi problemi bisogna predisporsi con politica dell’accoglienza e rispetto della sicurezza. Non si può affrontare un problema così serio e drammatico con populismo parlando semplicemente alla pancia della gente, bisogna parlare alla mente e al cuore delle persone; bisogna ricordarci che un tempo gli immigrati eravamo noi italiani. Bisogna mettere assieme tutte le forze, la chiesa non si vuole sostituire a nessuno, semmai vuole che si abbatta il muro dell’indifferenza perché assieme ci si possa mettere in una condizione di accoglienza; la Chiesa ha anche un motivo in più perché chi si ispira al Vangelo, sa che verrà giudicata per quel che faremo, il versetto 25 del Vangelo di Marco è chiarissimo: avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere ero forestiero e mi avete accolto.

In questi giorni il Papa incontrando i delegati delle Pontificie Opere Missionarie ha chiesto di fare attenzione a non diventare delle ONG…
Il Papa spesso presenta questo problema, la chiesa non è solo filantropia, l’amore verso il prossimo è nel DNA di ogni cristiano, si muove mossi da questo sentimento che viene dal vangelo, l’esperienza biblica dell’accoglienza è indipendente dal colore della pelle e dal credo religioso.

Da direttore di un settimanale importante come Famiglia Cristiana, avverte fastidio dai media diocesani perché altri media trattino argomenti religiosi?
Non credo ci sia il problema, possono esserci alcune punte ma non bisogna generalizzare; i media cattolici sono cresciuti come sensibilità, sono ben radicati nel territorio locale e sono da salvaguardare; sono cresciuti nella professionalità a maggior ragione in questi ultimi tempi con la spinta di Papa Francesco a non essere auto referenziali ma ad aprirsi a tutte le realtà. Più che consumare notizie bisogna raccontare anche la bellezza dell’essere cristiano e la bellezza della famiglia e del matrimonio; a volte non siamo abbastanza capaci di fare e raccontiamo più l’aspetto problematico che la bellezza dell’essere cristiano oggi, che non vuol dire ignorare i problemi ma saperli affrontare con la certezza della visione cristiana.

Come giudica l’esistenza di altri media oltre quelli istituiti?
Bisogna che la categoria dei giornalisti faccia un esame di coscienza perché molte volte non siamo a servizio della verità ma di altri interessi che non sono verità. Voglio fare appello alla formazione e coscienza deontologica degli operatori dell’informazione a raccontare il volto vero e reale del paese: l’informazione non deve spettacolarizzare e puntare sul gossip: a volte c’è la corsa alla spettacolarizzazione e drammatizzazione dei drammi umani. In questo mestiere bisogna essere a servizio della verità e della dignità umana. Noi abbiamo una grandissima responsabilità nell’utilizzare bene le parole che possono diventare pietre, dei proiettili che uccidono la dignità umana. Famiglia Cristiana con Avvenire e altri media cattolici ha fatto una campagna sull’uso corretto delle parole che possono discriminare e generare sentimenti di esclusione anche razzisti, il potere dei mass-media va messo al servizio della verità del lettore.

Alessandro Porcheddu

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